Le persone che soffrono di ansia vivono spesso in uno stato di allerta, con la percezione di una minaccia o pericolo incombente. L’organismo pertanto si predispone al combattimento o alla fuga, aumenta la secrezione di adrenalina, noradrenalina e cortisolo, aumenta anche la frequenza cardiaca e la pressione sanguigna; il sangue viene diretto ai muscoli per fronteggiare il pericolo. Le pupille si dilatano per meglio mettere a fuoco cosa accade; aumenta il ritmo respiratorio, etc. Di fronte ad un pericolo concreto, questa reazione facilita la sopravvivenza e costituisce una risposta adattiva, ad es. se ci troviamo di fronte ad una persona con un’arma, la migliore risposta potrebbe essere proprio quella di fuggire da quella situazione. Il tutto avviene molto velocemente e spesso senza che ne accorgiamo; il tempo speso a chiederci cosa fare, potrebbe essere fatale. Potrebbe accadere che realizziamo cosa succede, da cosa stiamo fuggendo mentre siamo già lontani dal pericolo percepito. Si può interpretare come pericolo anche qualcosa che avviene nel nostro organismo, come ad es. una sensazione insolita o una tachicardia. Queste particolari sensazioni possono venire interpretate come: “sto per avere un infarto” o "sto perdendo il controllo"; la reazione (di attacco e fuga) sarà sempre la stessa. È facile comprendere che un meccanismo del genere può andare incontro a tanti falsi positivi, cioè una persona con un pensiero catastrofico sarà indotta a pensare che qualcosa di terribile stia accadendo, commettendo un errore di interpretazione, non considerando alternative più probabili (es. intossicazione da caffeina o nicotina, periodo di forte stress, ecc.). A proposito, gli attacchi di panico non sono per nulla pericolosi per la salute.
L’iperventilazione non è altro che una una respirazione con frequenza degli atti respiratori (inspirazione ed espirazione) molto superiore rispetto alle necessità fisiologiche dell’organismo o
una profondità dell’atto respiratorio eccessivo. L’iperventilazione altera la concentrazione di ossigeno (ne assorbiamo troppo con l'inspirazione) e dell'anidride carbonica (ne espelliamo troppa
con l'espirazione). La conseguenza è uno scompenso tra ossigeno ed anidride carbonica, a favore dell’ossigeno.
È il ridotto livello di anidride carbonica nel sangue che causa i sintomi dell’attacco di panico e non una riduzione del livello di ossigeno, come molte persone pensano.
Si può iperventilare spinti dall’ansia, oppure dall’erronea convinzione che sia utile per placarla. O, ancora, per semplice abitudine. Tuttavia, l’iperventilazione peggiora l’agorafobia e il
panico.
Ci sono delle ragioni fisiologiche per le quali l’iperventilazione aggrava la sintomatologia del panico e dell’agorafobia. Nell’inspirazione introduciamo nei polmoni dell’aria e assieme ad essa
l’ossigeno che serve alle cellule del nostro organismo per poter produrre energia e poter sopravvivere. L’ossigeno si lega ad una molecola dei globuli rossi chiamata emoglobina. La stessa
emoglobina cede ossigeno ai tessuti e si lega all’anidride carbonica, sostanza di scarto delle cellulle. L’anidride carbonica viene espulsa con l’atto dell’espirazione.
Occorre che l’equilibrio tra anidride carbonica e ossigeno sia sempre quello corretto perché si verifichi lo scambio gassoso; se è vero come è vero che l’ossigeno è indispensabile perché le
cellule producano energia, anche l’anidride carbonica lo è, consentendo la separazione dell’ossigeno dall’emoglobina.
L'eccesso di ossigeno nel sangue causa alcalosi, e l'alcalosi fa sì che l'emoglobina diventi più affine all'ossigeno che all'anidride carbonica e non lo ceda ai tessuti circostanti causando appunto ipossia (effetto Bohr), ecco che la persona avverte assenza di fiato.
Un'altra ragione per cui l'ansia peggiora quando ventiliamo è perché l'alcalosi determina vasocostrizione, in particolar modo dei vasi che trasportano il sangue ad alcuni settori cerebrali deputati alla regolazione dell’omeostasi (equilibrio) di molti meccanismi fisiologici.
La conseguenza di questi meccanismi, è la sensazione che manchi l’aria (il più comune sintomo dell’ansia). Proprio questa paradossale sensazione porta, inconsciamente, il soggetto a respirare ancora più velocemente e intensamente, con ulteriore aggravamento dei sintomi dell’ansia. Altri sintomi molto comuni sono una sensazione di “leggerezza” della testa, quasi come uno stordimento, e poi di irrealtà e confusione. L’aumentare degli atti respiratori con l' iperventilazione provoca un’ulteriore sintomatologia, e, nel dettaglio, la sensazione di essere stanchi, di avere come un peso sul petto, di paralisi muscolare ed anche di vertigini e nausea.
E, come un cane che si morde la coda, il presentarsi di questa ulteriore sintomatologia, a causa della sensazione percepita di minaccia per la proprio incolumità, aggrava ulteriormente la
sensazione di panico del soggetto. Tipiche sono la sensazione di stare per morire, di perdere il controllo o di impazzire.
I sintomi del panico non sono certo piacevoli, ma sono in ogni caso reversibili e non pericolosi Appena termina l’iperventilazione cessano anche i sintomi. In ogni caso, i meccanismi fisiologici
che regolano l’omeostasi (l’equilibrio interno), riporteranno la concentrazione di ossigeno e monossido ai valori normali.
Modi errati di respirare che possono portare all’iperventilazione sono:
1. boccheggiare;
2. sospirare e sbadigliare;
3. respirare affannosamente (come durante il panico)
4. respirare eccessivamente (come quando siamo in uno stato di allerta).
Alcune persone respirano per abitudine eccessivamente, si tratta di un' iperventilazione cronica che, se in forma contenuta, non porta di per se all’attacco di panico, ma potrebbe essere un
fattore di rischio, mantenendo basso il livello di anidride carbonica. A questo punto, potrebbe essere sufficiente una situazione o un evento che inducano lo stato d’ansia, facendo innalzare
anche solo un po’ in più la frequenza respiratoria che può presentarsi l’attacco di panico. Oltretutto il perdurare per le 24 ore di questa situazione comporta un leggero stato di confusione e di
apprensione.
Le informazioni contenute in questo articolo non devono in alcun modo sostituire il rapporto dottore-paziente; si raccomanda al contrario di chiedere il parere del proprio medico prima di mettere in pratica qualsiasi consiglio od indicazione riportata.
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Dott. Cristian Garbin
Psicologo Psicoterapeuta
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